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Alla ricerca dell’altro


C’è qualche scintilla di speranza sotto l’ombra del razzismo e xenofobia che ha invaso l’Europa contemporanea… questo è il primo pensiero che mi viene in mente dopo aver letto l’intrigante libro di Donatella Ferrario, Sconfinare: viaggio alla ricerca dell’altro e dell’altrove (Edizioni San Paolo, 2019). 
Donatella, giornalista milanese, ci invita a un viaggio, a muoverci, ad accompagnarla in un cammino verso l’altro e l’altrove, sconfinando frontiere, oltrepassando limiti, barriere, mura interne ed esterne che ci allontanano dall’altro, che ci soffocano e imprigionano nel nostro io. 
Ci invita a partire… a prendere sentieri sconosciuti… ad andare per percorsi non sempre chiari e dritti, a volte improvvisati, ma sempre gratificanti. Itinerari di scoperta e liberazione: scoperta dell’altro e liberazione dell’io, dai pregiudizi, dai razzismi, dalla xenofobia, dai limiti…
Ci invita a cercare degli incontri e dei dialoghi… a lasciarci contaminare dalla speranza e dalla gioia di ricche e profonde esperienze di sconfinamento e di diversità.
Subito Donatella ci confida che “un viaggio così è bello farlo in compagnia. In una polifonia di voci e sguardi. Ho avuto compagni di viaggio eccezionali e generosi con cui condividere esperienze, scambiarsi le mappe. (…) Ognuno di questi viaggiatori mi ha offerto un pezzo del suo mondo, ha aperto i suoi cassetti e ne ha estratto foto, oggetti, appunti. Per sconfinare insieme” (p. 18 ). Ma ogni lettore è adesso un nuovo compagno di viaggio. Ci aggiungiamo in questo peregrinaggio, fatto da scrittori (il senegalese Pap Khouma, l’ebreo Abraham Yehoshua, la scrittrice armena Antonia Arslan), poeti (il portoghese Mons. José Tolentino Mendonça), saggisti (Giorgio Pressburger), giornalisti (Paolo Rumiz), fotogiornalisti (Uliano Lucas), professori (Claudio Magris), psichiatri (Eugenio Borgna).
Siamo compagni di viaggio anche perché sicuramente ci riconosciamo in questi personaggi. Io, mi sono identificato particolarmente con diversi degli intervistati, una bella sensazione, una vicinanza, uno sconfinarepiacevole e coinvolgente. Immigrante con doppia cittadinanza e doppiamente assente, come Pap Khouma; religioso con lo spirito di lisbonése, poeta e pellegrino come José Tolentino Mendonça; “fotofilo”, come Uliano Lucas; espatriato e anticonformista come tanti… Capace di ripetere insieme al senegalese Khouma che “l’Italia (e l’Europa, aggiungerei) oggi finge di non ricordare di essere un Paese meticcio. Il seme della paura ha messo le radici in un popolo che ha vissuto epoche di massiccia emigrazione, sia esterna sia interna. In tutto questo le televisioni, con i loro talk show, giocano un ruolo determinante nel creare disinformazione. (…) In Europa e in Italia, per chi si occupa di comunicazione e ha un ruolo istituzionale, ci vuole un’educazione alla responsabilità. I media non devono fare da cassa di risonanza dei sentimenti peggiori, non possono e non debbono istigare all’odio” (p. 37).
Insieme al giornalista Paolo Rumiz è difficile non riconoscere che “quando una classe politica non trova soluzioni crea i nemici: le streghe nel Medioevo, gli ebrei, adesso gli immigranti, anche se bambini. Indicare un nemico ha un enorme potere liberatorio sulla psiche delle persone che sono così assolte dal bisogno di interrogarsi e riflettere” (p. 73). E, con il biblista e poeta mons. José Tolentino Mendonça, non possiamo non gridare che “le diversità non sono un muro, un ostacolo, ma sono un ponte, un’ipotesi di ascolto e più profondo, una varietà della vita e di me stesso” (p. 96).
Antonia Arslan, scrittrice e cronista armena, insieme a Abraham Yehoshua, scrittore ebraico, ci permettono di riconoscere come l’esperienza personale e sociale è fondamentale nella costruzione della nostra identità. Eugenio Borgna, professore e medico psichiatra, ci fa capire che ci sono confini geografici, ma anche psicologici, esistenziali ed etici nella nostra vita. E Uliano Lucas, fotogiornalista, davanti a una società “ipericònica”, che molte volte non riesce a cogliere la bellezza e la profondità di un’immagine, ci illustra come il vero fotografo è un artista, uno scrittore, un intellettuale, un poeta… deve raccontare, esprimere e proporre la sua visione di mondo, della vita. Si esprime attraverso lo sguardo… “La fotografia attraversa frontiere e abbatte confini (…) avvicina il mondo e lo porta in casa” (p. 125), “è arte e racconto quando offre chiavi di lettura della realtà, quando sa parlare a chi la guarda, uscendo dalla superficialità, dal già detto, dal già visto” (p. 127).
Alla fine di questa lettura-viaggio si scopre che siamo tutti pellegrini... tutti migranti… sempre… ma, speriamo, mai soli. In questo senso, Sconfinarenon è un libro sulla ricerca, ma sugli incontri. Ci fa prendere posizione, scegliere come vedere e affrontare il mondo, perché ci sono soltanto due forme di vedere il confine (e quindi l’altro, il diverso): come fine, limite, muro; o come inizio, porta, ponte… Come barriera o come contatto. Come scontro o come incontro. Separazione o avvicinamento. Sbarramento o libertà. Divisione o dialettica. Concreto o astratto. Chiusura o apertura. Ostilità o accoglienza. Paura o curiosità. L’uguale o il diverso. Lo stesso o l’altro. Silenzio o dialogo. Certezze o speranze. Minaccia o opportunità. Geografia o filosofia. Isolamento o relazione. Rottura o complementarietà. Architettura o arte. Politica o poesia. Estremità o straordinarietà…
Più che riflettere, questo libro ci fa fare delle domande… tante domande… e ci fa riprendere la speranza…

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